sabato 4 febbraio 2012

Carlo Ubbiali: Il Cinese e la Volpe




Sino a quando Giacomo Agostini, nel 1971, non ha colto il suo decimo titolo mondiale, è stato, con nove iridi, il pilota più titolato del motociclismo, solo affiancato, nel 1967, dal leggendario Mike Hailwood. Potrebbe bastare questo elemento statistico ad innalzare Carlo Ubbiali nel ristretto numero dei più grandi di sempre. Eppure il pilota nato a Bergamo il 22 settembre 1929, non ha goduto di un’anime, elevata considerazione e, nella graduatoria dei campioni di ogni epoca, è stato spesso posto in posizione di subordine rispetto a chi, rispetto a lui, ha avuto una carriera meno ricca di successi e anche di durata più contenuta. Questo è accaduto un po’ per il fatto che Ubbiali si misurò “soltanto” nelle classi più piccole, 125 e 250, un po’ a causa del suo carattere introverso, che lo rese meno popolare di altri spumeggianti coprotagonisti dell’epoca, quali l’acerrimo rivale Tarquinio Provini o l’anticonformista Umberto Masetti. Eppure il “Cinese” ha avuto tra i critici, e anche tra i colleghi e rivali, schiere di estimatori. Stima meritata se si valutano, oltre ai risultati, il talento, la seria applicazione, l’intelligenza e soprattutto la scaltrezza. Se l’aspetto fisico: il volto caratterizzato da due occhietti piccoli e a mandorla e una statura minuta (appena 160 cm di altezza) gli erano valsi l’appellativo di “Cinese”, le sue maliziose strategie avevano certificato quello di “Volpe”. Ubbiali ama ricordare ancora oggi che la sua prima partecipazione a una manifestazione motociclistica risale al 1936, quando ad appena sette anni, si mise alla guida della MM del padre per percorrere la strada che da Bergamo porta a Milano, con l’intenzione di partecipare al grande motoraduno “La rosa d’inverno”. Carletto allora nemmeno toccava con i piedi per terra, a quello pensava il papà Giovanni, seduto sul sellino posteriore.. Un bel po’ di pratica su due ruote la fece poi durante la guerra, trasportando su di un sidecar Moto Guzzi, i feriti da Dalmine all’Ospedale di Bergamo. Aveva 12 anni. Da un ragazzo così precoce, per di più cresciuto “nell’humus” idoneo (il padre corridore dilettante, titolare di una concessionaria di moto con annessa officina dove “il Carletto” andò presto a lavorare) era lecito aspettarsi un non meno precoce esordio in gara. Anche se bisogna considerare una situazione ben diversa da quella contemporanea nella quale i “baby piloti” di 15-16 anni sono la regola come i Campioni del Mondo non ancora maggiorenni. Per questo, dopo qualche gara di minore importanza nella regolarità, stupisce la cronaca del suo esordio nella velocità: non aveva ancora compiuto i 18 anni, età minima per gareggiare a quei tempi. Per poter correre aveva falsificato la firma per l’autorizzazione paterna; in quanto alla moto, dato che non ne possedeva una, riuscì a ottenere in prestito una DKW 125 a due tempi, del capo della Squadra Mobile di Bergamo, il capitano De Luca, promettendo in cambio una revisione integrale, comprensiva di riverniciatura e lucidatura delle cromature. La gara: il tradizionale circuito delle Mura di Bergamo. Il giorno: 30 marzo del 1947. Il risultato: primo assoluto. All’esordio! La gioia però durò ben poco. La MV (proprio la Casa alla quale legherà la maggior parte dei suoi successi) fece reclamo, il suo inganno smascherato e lui s qualificato. Ancora qualche gara minore, poi la convocazione da parte del Conte Domenico Agusta in persona che gli offrì una MV 125 ufficiale per il Gran Premio della Fiera di Milano, preludio ad un ingaggio per la stagione successiva. A 20 anni, nel 1949, era già pilota ufficiale MV, gareggiava con successo nelle gare di scooter (all’epoca molto popolari nel nostro Paese) e anche alla Sei Giorni Internazionale di Regolarità in Inghilterra, dove vinse la medaglia d’oro. Poi a fine stagione, a sua insaputa, il padre ed il fratello Maurizio, sottoscrissero per lui il contratto che lo legò alla Mondial. Maurizio era il fratello maggiore di Carlo Esso fu la persona che risultò determinante nella sua carriera. Carlo non se ne separava mai: Maurizio era suo accompagnatore, consigliere, consulente, una sorta di altra metà nell’elaborare e attuare anche le strategie più maliziose. Celebre è rimasto il trucco con il quale Ubbiali ingannava i suoi avversari nascondendo il proprio potenziale nel corso delle prove. Percorreva la prima metà del giro ad andatura contenuta e, al massimo, la seconda metà oltre la prima metà del giro successivo, per poi tornare ad un ritmo blando verso i box. Così solo il fratello, cronometro alla mano, era al corrente del vero tempo limite del “Cinese”: ad avversari, compagni di squadra, meccanici del team, cronometristi e agli addetti ai lavori tutti, risultava quindi che Carlo avesse un passo ben più lento di quello che in realtà era in grado di tenere. Il contratto con la Mondial, la più efficace 125 di quel 1950, fu un’idea di Maurizio. Il giovane “Cinese” si trovò in squadra in condizione di subordine a Leoni e Ruffo, che lo precedettero di poco nella graduatoria del Mondiale ai primi due posti, ma ebbe già l’occasione di cogliere, a Dunrod, il primo successo in carriera, in una gara di campionato, il GP dell’Ulster. Interpretò anche una gara eccezionale ed eroica: la Milano-Taranto., che stava vincendo in sella ad una 125 a quattro tempi (Impresa incredibile per una moto di quelle caratteristiche sulla massacrante distanza di 1300 chilometri) quando il propulsore della sua moto esplose sul rettilineo di arrivo. Tagliò il traguardo a spinta, aiutato anche da alcuni spettatori. Fu squalificato, ancora su reclamo della MV Agusta. L’anno successivo era già Campione del Mondo, vincendo gara e titolo a Monza, nel GP delle Nazioni. Poi divenne vice-iridato nel 1952 alle spalle di Sandford, ma a fine stagione non poté resistere all’offerta milionaria della MV campione del Mondo. Nel biennio 1953-1954 si batté come un leone, ma era il momento delle “frecce d’argento” a due ruote: le tedesche NSU, insuperabili sia in 125 che in 250 con Haas e Hollaus. Poi nel 1955 tornò al vertice nella 125 e fece l’esordio occasionale, in sostituzione all’infortunato remo venturi, sulla 250. Pista di Monza, ultima gara di campionato: c’erano quattro NSU, velocissime. Lui vinse in volata regalando alla MV il Titolo Marche. Fu quello il passaporto per il doppio impegno, 125 e 250, a partire dalla successiva stagione. Dominò: in entrambe le classi vinse 5 dei 6 GP in calendario e, naturalmente, i due titoli. Era pronto per affrontare nel 1957 la tremenda sfida delle rinnovate, straordinarie Mondial. Nella 125 aveva contro l’acerrimo rivale Tarquinio Provini e nelle prime due gare per ciascuno ci fu un primo ed un secondo posto; nella 250 l’avversario era il velocissimo Sandford (che lo aveva battuto in 125 5 anni prima). Dopo due prove la classifica della quarto di litro portava in cima proprio il nome del pilota inglese, Ubbiali aveva comunque ottenuto un successo. Al terzo appuntamento della stagione, sul tracciato di Assen, Carlo Ubbiali cadde in prova con la 250: dovette disertare la corsa olandese e i due successivi GP. I titoli sfumarono. A fine stagione, sfumò anche la possibilità di prendersi la rivincita nel 1958 sulla “odiata” Mondial, in quanto le case italiane: Mondial, Moto Guzzi e Gilera si ritirarono per “manifesta superiorità”. La MV invece continuò nella sua avventura iridata e la “Volpe” si ritrovò in casa l’avversario Provini. All’interno della squadra vennero stabiliti gli ordini di scuderia che prevedevano che i due piloti si sarebbero dovuti spartire equamente i successi: Ubbiali iridato nella ottavo di litro, Provini nella quarto di litro. L’accordo però saltò nel 1959 quando Il “Cinese” con malizia, suscitando numerose polemiche all’interno della Squadra (che restarono “vive” negli anni), si impose in entrambe le cilindrate. La cosa si ripetette anche nel 1960 quando Provini, esacerbato, lasciò la Squadra ed il rivale del campione diventò il fortissimo Gary Hocking, confermato dalla MV. “Ubbiali pensava molto al successo personale, ma questo era un vantaggio in quanto così facendo, contemporaneamente, esercitava l’interesse della Squadra” ricorda Arturo magni, direttore tecnico della MV Agusta. “Non era facile lavorare con lui, perché faticava a comunicare, temeva che le messa a punto della sua moto venisse copiata dai compagni di squadra. Anche per questo, le sue richieste ce le faceva all’ultimo momento. Non scopriva mai le sue carte: una vera volpe, un pilota con grande senso della gara, capace di tracciare sempre la traiettoria migliore”. Alla fine di quella stagione, Ubbiali, appena trentunenne, lasciò le corse. Sapeva che al fratello Maurizio, a causa di una grave malattia, sarebbe rimasto poco da vivere. Non se la sentiva di continuare da solo. Cos’ come forse non se l’era sentita di salire di cilindrata. “Questo non è vero!” ha sempre ribadito Carlo Ubbiali a chiunque abbia asserito questa cosa. “La quattro cilindri la provai e con ottimi tempi. Allo stesso modo feci registrare delle ottime prestazioni, ai limiti del mezzo secondo da Von Trips, quando provai in gran segreto (e più di una volta..) la Ferrari da F1. Poteva essere una buona opportunità quella di passare alle auto, ma continuai con le moto. E con le piccole cilindrate, perché a quell’epoca l’interesse dell’industria era di vendere quelle moto! Le “maxi” non avevano mercato in quanto.. non esistevano!”. Appeso il casco al chiodo, con all’attivo: 9 titoli mondiali (6 in 125 e 3 in 250), 39 vittorie iridate (26 in 125 e 13 in 250) oltre a 8 titoli italiani (6 in 125 e 2 in 250); Ubbiali si è sposato, ha avuto quattro figli, ha aperto a Bergamo un’attività commerciale di vendita d’auto. Un giorno ha pure suggerito al Conte Agusta di seguire con attenzione un giovane pilota emergente, di nome Giacomo Agostini. Salvo poi minacciare un ritorno alle corse, l’accendersi di una rivalità nuova ed impossibile quando a tutti fu chiaro che il giovane concittadino avrebbe superato il record di vittorie di nove Mondiali, detenuto dal “Cinese”..

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