sabato 16 ottobre 2010

God save the Queen..
















Oggi hanno soltanto tre ragazzini (due dei quali iscritti alla 125 e uno che prende parte alla Moto2) oltre alla Dunlop che fornisce le "calzature" a 125 e Moto2 e ad un pugno di sponsor che campeggiano sulle carene di qualche (poche) moto e su tute e caschi dei piloti. Nient'altro.. Eppure i britannici hanno dominato nel motociclismo (come nell'automobilismo..). Erano piloti che sapevano prenotare il podio intero delle classi maggiori e in ben tre occasioni arrivarono ad occupare le prime sei posizioni della classifica. Questo accadeva negli anni Cinquanta e Sessanta. Questione di cicli: nel motociclismo le Nazioni vanno su e poi tornano giù seguendo curve particolari. Il primo fattore determinate è o meglio lo era molto più in passato che ora a dire il vero, lo stato di salute dell'industria motociclistica nazionale. Negli anni d'oro i sudditi di Sua Maestà se la giocavano alla pari con gli italiani, perché nel vecchio continente, dove il mondiale si svolgeva, circolavano numerose Triumph, Norton, BSA, Ajs. Appena più indietro c'erano Moto Guzzi, Gilera, Moto Morini, Mondial e naturalmente le più blasonate di tutte: le MV Agusta. quando nacque il motomondiale, nel 1949, l'italia era rappresentata da gente come Pagani, Masetti, Ruffo, Ambrosini, Lorenzetti. Piloti che già prima della guerra avevano vinto le corse internazionali o che erano in procinto di farlo in quel primissimo dopoguerra. Al Bel Paese non mancavano quindi i talenti ma.. i piloti britannici erano sempre più apprezzati dall'opinione pubblica e dagli appassionati. Forse tutto si traduceva in una semplice questione di esterofilia o magari per via della fama dei piloti d'oltre Manica di avere esperienza, di andare subito forte e senza fare storie, di bere due (o tre..) bicchieri di troppo il sabato sera, di trascinarsi a letto malconci e quasi ma soli ma, a prescindere da tutto questo di esser pronti a morire per la causa la domenica in gara. Il primo campione del mondo della 500 fu Leslie Graham, che vinse per un solo punto proprio sul nostro Nello Pagani. Gilera, Moto Guzzi ed MV Agusta affidarono le loro sorti in "battaglia" proprio alle sapienti mani di piloti inglesi tra i quali Bill Lomas, Geoff Duke e John Surtees (bandiere degli anni Cinquanta) e a Mike Hailwood e Phil Read (grandissimi negli anni Sessanta e Settanta). Tutti e tre cominciarono in sella alle loro Norton monocilindriche, moto dal gran telaio ma dal fiato corto. Erano tutti caratterizzati dal fatto di andare fortissimo e di essere grandi "pegatori"(per l'epoca) sulle gomme britanniche Avon. Duke era del 1923. Al TT era una "bestia"l La Gilera lo volle anche se in squadra aveva già Masetti, Milani e Colnago. Lui, Duke che di li a breve divenne "il Duca", guidava incollato al serbatoio, neanche un centimetro quadrato fuori dalla carenatura con uno stile e una pulizia inimitabili. A lui si deve l'invenzione della prima tuta di pelle intera della storia. Alla Gilera portò tre titoli consecutivi nella massima cilindrata (500cc). Questi potevano essere quattro se la FMI non l'avesse sospeso per sei mesi, nel 1956 quando scioperò insieme ad altri piloti per ottenere premi più alti. Alla fine della sua carriera agonistica in moto, passò alle quattro ruote ma senza ottenere grandi risultati. Il successore di Duke fu John Surtees: il "figlio del vento". Il pilota inglese è l'unico della storia ad essersi fregiato del titolo di Campione del Mondo sia su due che su quattro ruote. Egli vanta infatti ben sette affermazioni iridate nel motociclismo e il titolo mondiale nella F1 nell'anno 1964 al volante della ferrari 1.5V8. John è un mito tutt'ora vivente. Dopo aver disputato 49 GP con le moto (dei quali ne vinse 38!) passò alle quattro ruote: 113 partecipazioni, 6 vittorie, 24 podi con ben 8 marchi differenti. Lui fu il testimone della MV Agusta dal 1986 al 1960. Un vero dominatore: in una sola stagione, il 1959, vinse 13 gare, facendo l'en plein, (sette su sette) nella Classe regina. Dopo Surtees arrivò a calcare le scene internazionali il mitico Mike Hailwood, detto con semplicità tutta britannica per riassumerne la grandezza: "Mike the Bike". Hailwood è il primatista nazionale per i britannici vantando nel suo palmares 76 vittorie nei GP ottenute in tutte le classi (dalla 125 alla 500) e nove titoli iridati: tre in 250, due in 350 e quattro in 500. Che il mitico Hailwood sia scomparso prematuramente (in un incidente in auto nel 1981 alla periferia di Londra) è un vero peccato. Quest'anno avrebbe compiuto settanta anni, due in più del suo acerrimo rivale Giacomo Agostini e vederlo ed ascoltarlo ancora parlarci dei golden years del motociclismo e delle sue incredibili sfide con "l'amico-rivale" italiano sarebbe satto fantastico. Hailwood era un ricco oxfordiano, figlio di un abile commerciante di auto e moto. dal facoltoso genitore venne spinto in tutti i modo ad intraprendere la carriera agonistica. Quella di Hailwood è l'esempio più unico che raro di un esperimento riuscito: a 19 anni già vinceva il suo primo GP: quello dell'Ulster in sella ad una Ducati 125cc. A 20 conquistava il titolo della 250 con la Honda e allora fu scritturato dal Conte Agusta per cavalcare le moto italiane nelle due classi più importanti: 350 e 500 come erede di Surtees. Mike inorgoglito da tanta fiducia ripose nelle corse tutto il suo impegno e ripagò la Casa italiano con quattro titoli iridati della 500 consecutivi, prima di passare il testimone ad Ago e di salire in sella alla "terribile" Honda 500. La moto nipponica era potentissima (per l'epoca) ma dal telaio di burro. Nonostante questo Mike conquistò otto vittorie nella Classe Regina vittorie e si fregò di quattro titoli iridati: due nella 250 e due nella 350 nel biennio '66-'67. La Honda a sorpresa si ritirò dalle competizioni nel motociclismo e si dice che pagò Hailwood per non salire in sella ad altre moto. Mike passò quindi all'automobilismo. Vinse l'europeo di F2 ed ebbe un terribile incidente in F1 dal quale uscì con una gamba maciullata. Il richiamo delle due ruote era però fortissimo e Mike the Bike tornò in sella nel 1978. All'epoca aveva 38 anni, era giù di forma, una gamba mezza bloccata. Il circuito dell'Isola di Man, dove era stato imbattibile ai tempi dei GP, se lo ricordava però benissimo e in sella ad una Ducati quell'anno trovò il trionfo sbaragliando la concorrenza delle potentissime Honda e del grande rivale di un tempo Phil Read. Fu un successo e Mike ci prese gusto tanto che sim presentò anche nel 1979 sull'Isola e in sella ad una Suzuki 500cc da GP a due tempi vinse il Senior TT. Con questo trionfo Mike si ritirò e il destino volle la sua vita due anni dopo mentre stava andando a comprare la cena da un fish&chip in auto insieme ai due amati figlioletti. Il testimone di Hailwood passò al roccioso, duro, antipatico e velocissimo Phil Read. L'inglese fu uno dei pochissimi in grado di piegare Agostini battendolo psicologicamente prima ancora che in pista da compagno di squadra nel 1973 e bissando il titolo nel 1974. Phil Read, denominato "Phil di Ferro" fu l'ultimo pilota che regalò un titolo nella massima cilindrata alla Casa di Cascina Costa. Read in carriera conquistò ben sette titoli iridati, 122 podi e fu il primo pilota della storia a vincere i mondiali di 125, 250 e 500. E ancora come non ricordare di Bill Ivy campione del mondo delle 125, velocissimo, capace di compiere dei lunghissimi monoruota, in sella alla sua bellissima Yamaha 250 dalla livrea bianca, durante i giri di allineamento, mandando in visibilio il pubblico. E ancora Bob McIntyre, Dave Simmonds con la sua Kawasaki 125 che nel 1969 dominò il mondiale a dispetto del suo gomito destro boccato a 90° che lo costringeva a stare in sella in una posizione improbabile per nasconderlo dentro alla carenatura. L'ultimo iridato della storia dei GP tra i sudditi di Sua Maestà si chiama Barry Sheene. Un successo sulle "zanzare" monocilindriche a due tempi di 50cc e poi la 125 seguita da una carriera in 500 con all'attivo ben due titoli iridati: 1976 e 1977 e il lustro di essere il successore di Agostini come pluricampione del motociclismo. Fu il grandissimo Barry a rendere vincente la Suzuki nella Classe Regina. Sheene andava veloce, velocissimo e la sua moto, poco affidabile si rompeva spesso procurandogli infortuni gravissimi: a causa delle innumerevoli fratture si dovette trasferire a fine carriera in Australia in quanto il piovoso clima britannico era per lui deleterio. Barry era un personaggio incredibile, un play-boy dal viso d'angelo dannato, dedito alla bella vita e agli eccessi (non a caso era grande amico di Marco Lucchinelli..), in griglia si presentava sempre con la onnipresente sigaretta che gli pendeva dalle labbra. E' morto di cancro ai polmoni nel 2003. Dopo di lui la Gran Bretagna è stata rappresentata con qualche successo negli anni Ottanta da Ron "Rocket" Haslam e a cavallo tra questi e gli anni Novanta dallo scozzese Niall Mackenzie. Gente coraggiosa questi piloti britannici, mai doma, appassionata, tosta. Gli italiani a quei tempi erano fortissimi ma specialisti di cilindrata: se uno iniziava ad esempio con una 125 il più delle volte restava li per tutta la carriera. Gli inglesi no. Saltavano da una moto all'altra senza problemi, con disinvoltura e coraggio. Del resto i loro numeri fanno impressione: anche se non conquistano u titolo dal lontano 1977 sono al terzo posto di sempre come numero di GP conquistati , dietro agli USA e all'Italia. La Gran Bretagna vanta ben 43 titoli iridati complessivi, 17 dei quali ottenuti proprio nella Classe Regina. Da anni però nel Motomondiale la Union Jack non sventola più: dapprima c'è stata "l'American Wave" con lo sbarco dei mostri sacri statunitensi negli anni ottanta e primi novanta. Poi è stato il tempo dell'Australia a dettare legge. L'Italia ha raccolto il testimone e ora si sta spartendo la torta con la Spagna. Tutto questo ha relegato i britannici in una specie di "esilio nel motomondiale", esilio che sta diventando troppo lungo. Completamente diverso è il rapporto tra i piloti d'oltre Manica e la Superbike.. Ma questa è una storia diversa e ve la racconterò in un'altra occasione!

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