mercoledì 4 febbraio 2009

Bimota

























































Nelle foto, partendo dal basso:
1) La prima "nata" in casa Bimota: la HB1 motorizzata con il 4 cilindri Honda, che equipaggiava la Four 750cc.
2) La Bimota KB1, equipaggiata con propulsore Kawasaki.
3) La Bimota SB3, motorizzata Suzuki.
4) La Bimota DB1, con propulsore Ducati.
5) La Bimota YB6, con motore Yamaha.
6) La Bimota YB9, sempre con motore Yamaha.
7) La Bimota YB10, sempre con propulsore della Casa di Iwata.
8) La Bimota DB2, con il motore Ducati.
9-10-11) Tre evoluzioni della Bimota Tesi.
12-13) Due varianti della SB8, moto con la quale la Casa riminese disputò il mondiale Superbike.
14) La Bimota 500 V2 a due tempi, unica moto interamente Bimota.
15) La Bimota DB5, equipaggiata con motore Ducati.
16) La Bimota DB7, ultima nata nell'atelier riminese. Equipaggiata con il propulsore da 1.099 cc della Ducati, è destinata a donare nuovo lustro all'attività agonistica della Casa.
17) La squadra corse della Bimota nel 2000, posa attorno alla SB8 K da Superbike.
Bimota è un'azienda italiana che costruisce motociclette, con sede nella città di Rimini. Quando si parla di questa piccola Casa riminese bisogna tenere in considerazione il fatto che senza dubbio è una delle aziende produttrici di motocicli la cui storia è tra le più romantiche ed affascinanti del panorama mondiale. L’azienda prende vita nel 1966 come laboratorio specializzato nella produzione di componenti per il settore del riscaldamento per abitazioni. I tre soci fondatori sono i signori: Bianchi, Morri e Tamburini. Bimota infatti altro non è che l’acronimo dei cognomi dei suoi tre fondatori. Cognomi appunto destinati ad una relativamente piccola, ma assolutamente inossidabile fama a livello mondiale. Nel giro di pochi anni infatti la passione per le motociclette e per le gare, la smania di progettare e costruire i “ferri” a due ruote, spinsero Massimo Tamburini ad indirizzare la società verso qualcosa di diverso, di più ardito. La leggenda vuole che all’inizio degli anni settanta Tamburini, mentre cercava di portare al limite la sua Honda Four 750cc sul circuito di Misano, finì lungo e disteso a terra. La causa di questa caduta non è da ricercare nelle scarse doti di guida del riminese, quanto nella moto. La Honda CB 750, così come tutte le moto giapponesi sue contemporanee, poteva vantare un motore estremante potente che male si conciliava con un assetto volutamente turistico. Telaio e sospensioni andavano in crisi, non appena si affrontava in maniera “allegra” un curvane veloce. La situazione delle moto prodotte dalle Case nipponiche, non era affatto migliore: la Kawasaki Mach IV era un toro infuriato: nelle accelerazioni più violente il suo avantreno si alzava verso il cielo come un jet in fase di decollo e non c’era verso di farla viaggiare senza sbandamenti nemmeno in rettilineo, figurarsi nelle curve! I freni inoltre non la fermavano, al massimo la rallentavano e comunque dopo un paio di frenate decise erano “tostati”. La Suzuki GT 750 aveva un manubrio “all’americana” (il così detto “stendipanni”), talmente alto che era impossibile superare i 170 Km/h senza innescare pericolosi alleggerimenti dell’avantreno o addirittura la perdita in corsa del temerario pilota. Comunque sia chi aveva il necessario “pelo sullo stomaco” e la giusta dose di “follia” per portare al limite queste motociclette, narrava di “visioni mistiche”, fatte di pieghe garibaldine con il telaio in perenne avvitamento e l’avantreno impegnato a puntare, irrimediabilmente, l’esterno delle curve. Tamburini, una volta ristabilitosi dall’incidente, decise di riparare la moto, costruendo ex novo un telaio che con l’originale non aveva nulla a che spartire. Il nuovo telaio che andò ad abbracciare il motore Honda era tubolare che oltre a migliorare sensibilmente le doti di guida della moto aveva anche il duplice pregio di abbassarne il baricentro e di diminuirne notevolmente il peso complessivo. Da questo primo lavoro, prese vita una bellissima special. La moto riscosse un notevole successo e venne portata di nuovo sul circuito di Misano Adriatico, con alla guida questa volta un pilota professionista: Luigi Anelli, per saggiarne appieno le doti e per avere un responso dal cronometro. Era l’anno 1973 e nacque così la HB1 e con lei la Bimota (A questo punto vanno spese due parole circa i nomi delle moto; infatti in Bimota già con la HB1, venne adottato un sistema per nominare i vari modelli molto schematico: 1° lettera:Identifica il fornitore del motore, ad esempio "Y" per Yamaha, "H" per Honda, "K" per Kawasaki, "S" per Suzuki, "HD" per Harley-Davidson, successivamente "D" per Ducati. 2° lettera: Iniziale della casa Bimota "B". 3° lettera: Tipo di modello. 4° lettera quando presente: Le diverse versioni del medesimo modello. Questo sistema accompagna la produzione Bimota anche ai giorni nostri, fatta salva qualche eccezione: Supermono, Mantra, Delirio..).La società venne in un primo momento orientata solo alle competizioni. Massimo Tamburini, si rivelò un progettista sopraffino e iniziò a sfornare stupendi telai costruiti attorno a motori Suzuki, Yamaha e Harley-Davidson da competizione. I suoi telai, oltre ad essere vere e proprie sculture d’arte dai contenuti di alta ingegneria, si rivelarono anche decisamente competitivi e ben presto furono richiesti dai team ufficiali che partecipavano alle competizioni di livello mondiale. Nacquero così formidabili moto da corsa quali le YB1, YB2, YB3, HDB1, HDB2, e SB1. Dopo qualche stagione il pubblico chiese di poter guidare anche su strada queste piccole meraviglie e fu così che nel 1975 iniziò la produzione in una piccolissima serie limitata in 10 esemplari della HB1. La moto incarnava a meraviglia la formula che ancora oggi contraddistingue i prodotti Bimota: unire i migliori propulsori in commercio con ciclistiche rigorose, di scuola italiana, rifinire il tutto con design originale, cura certosina e utilizzare i migliori componenti disponibili. Nel 1977 Bimota decise di entrare nel segmento più alto del mercato, realizzando modelli stradali esclusivi ed innovativi, come la SB2, caratterizzata dal telaio scomponibile, e la mitica KB1, che rappresentò per Bimota un grande successo commerciale.Gli anni 80 furono un periodo ricco di successi per Bimota ma segnarono l’inizio del travaglio che accompagnerà a fasi alterne l’azienda fino ai giorni nostri. Nel 1980 l’avventura sportiva dell’azienda riminese toccò i massimi livelli: si aggiudicò infatti il Campionato del Mondo classe 350cc, sia col pilota Jon Ekerold sia come Costruttore. Nel 1987, la Bimota si fregiò di un altro alloro, vincendo il Campionato del Mondo TT F1 (l’antenato della Superbike) con in sella Virginio Ferrari (sul quale ho pubblicato un post in precedenza). Sempre in quegli anni, Bimota realizzò diversi modelli stradali destinati ad entrare nella leggenda e tali da rappresentare a tutt’oggi il sogno di ogni motociclista. Si tratta delle HB2, HB3 – SB3, SB4, SB5 – YB4 EI, YB6, YB6 ex up, YB6 Tuatara – KB2, KB3 – DB1, DB1 s e DB1 rs. Questi modelli esclusivi le consentirono di allargare la propria fama oltre i confini nazionali. Nel 1983 la piccola azienda motociclistica si trovò a dover fronteggiare un momento di particolare delicatezza conseguente all’uscita di Massimo Tamburini che l’aveva guidata fino ad allora. Fortunatamente il vuoto lasciato da Tamburini venne colmato dall’arrivo di un giovane ingegnere: Federico Martini, anch’egli autentico appassionato di moto. Il giovane ingegnere si dimostrò capace di raccogliere con coraggio la pesante eredità e garantire la continuazione del successo. Martini divenne a sua volta una figura storica per Bimota. Si devono a lui la DB1 (la prima bimota a motore Ducati) e gli innovativi telai in alluminio scatolato montati fino al 2000 su vari modelli, così come gli va riconosciuto, insieme al grande Virginio Ferrari, l’aver portato la neonata Bimota YB4 R a vincere il campionato del mondo TT F1. Agli inizi degli anni novanta, Federico Martini lasciò Bimota venendo sostituito dal suo stretto collaboratore, Pierluigi Marconi. Sotto la sua guida tecnica vennero realizzati prevalentemente modelli con telaio scatolato in alluminio quali: YB8, YB8 E, YB8 Furano, YB9 Bellaria, YB9 sr, YB9 sri YB10, YB10 biposto, YB11, SB6, SB6 R, SB7, SB8 R e modelli con telaio in tubi ovali quali: DB2, DB2 sr, DB2 EF, DB3 Mantra Supermono, Supermono biposto, la 500 Vdue. Resta pur tuttavia fuor di dubbio che il modello che più di tutti ha caratterizzato il genio di Pierluigi Marconi e la stessa Bimota è l’innovativa TESI 1/D nelle versioni 1/D, 1/D SR, 1/D ES, 1/D EF. La produzione, sotto la spinta del nuovo management guidato da Walter Martini che prese il testimone da Giuseppe Morri (l’ultimo dei soci fondatori a lasciare l’Azienda nel 1993) aumentò considerevolmente. In parallelo alla consistente crescita dei volumi delle moto prodotte, nel 1997 Bimota festeggiò anche il suo 25° Anniversario con l’organizzazione di un evento all’autodromo Santamonica di Misano al quale parteciparono i “bimotisti” e gli appassionati di tutto il mondo. Sul finire degli anni ‘90 nacque anche la prima moto tutta Bimota nel telaio e nel motore, a coronamento dello sviluppo interno del propulsore 500 Vdue (a due tempi) ad iniezione. La moto, assolutamente performante ed innovativa, ottenne un successo commerciale ben oltre le aspettative, tale da mandare in crisi la stessa capacità produttiva della Casa. Le conseguenza fu il lancio sul mercato di un prodotto ancora immaturo nella messa a punto, e nello sviluppo generale. Ciò pose le basi per una crisi finanziaria a cui Bimota andò presto incontro. Il nuovo millennio iniziò bene per Bimota che stava attraversando una fase di proficua e di intensa attività. Le sue moto erano esposte ed apprezzate nelle più importanti fiere mondiali del settore. Il modello di punta caratterizzante questo periodo è la SB8 R, nelle versioni in vetroresina e in carbonio. Particolarmente innovativo il materiale composito del telaio in alluminio e carbonio. La moto montava il performante propulsore a due cilindri da 1000cc costruito dalla Suzuki e che in quel tempo equipaggiava la TL 1000, moto molto apprezzata, prodotta dalla casa di Hamamatsu. In campo sportivo, la casa riminese diede il massimo, rientrando a partecipare al campionato mondiale SuperBike, dopo ben undici anni di assenza, proprio col suo modello di punta: la SB8 K. Il team era professionalmente ad altissimo valore con Virginio Ferrari come team manager, Franco Farné direttore tecnico e Anthony Gobert pilota. Alla prima gara a Kyalami, in SudAfrica, Anthony Gobert arrivò 12° in gara 2 mentre già solo due settimane dopo nel GP d’Australia a Phillip Island giunse 1° in gara 1, sotto una pioggia battente. La moto dimostrò quindi di essere già competitiva e di potersi confrontare con le mattarci del campionato: Ducati ed Honda. Nonostante questi risultati eclatanti, principalmente a causa delle problematiche derivate dallo sviluppo del motore 500Vdue, Bimota entrò in una crisi seria e profonda che la portò ad affrontare mille difficoltà, fino ad arrivare al fallimento e ad essere così costretta a chiudere, per fortuna solo temporaneamente, la prima fase della sua storia di successo. Tre anni più tardi l’azienda riaprì con nuova linfa, nuove persone e un’organizzazione diversa. Dopo un buon numero di colpi di scena alternati da esasperanti ritardi burocratici, finalmente nel 2003 entrò la nuova proprietà, con il fermo intento di garantire la continuazione del successo che negli anni Bimota si era guadagnata. Nello storico quartier generale di Rimini, che ha conservato intatti i tanti tesori tecnici della casa e dove non si è mai spento lo spirito che la alimentava, l’attività è ripresa febbrile. E i primi risultati tangibili, quali il conseguimento del “The 2004 Motorcycle Design Award” nella categoria Supersport rilasciato dalla Motorcycle Design Association al nuovo modello DB5 durante Intermot 2004, testimoniano il ritorno di una grande protagonista. Questa moto presenta il forcellone in traliccio di tubi, verniciato in rosso come il telaio, accoppiato ad una piastra in alluminio e denominato "Traliccio composito". Nel 2005 Bimota lanciò al Salone di Milano una naked su base DB5, disegnata da Sergio Robbiano della Robbiano Design: la DB6 Delirio. L'anno successivo la stessa esposizione è l'occasione per presentare la versione biposto della DB5 Mille ma soprattutto la terza generazione della Tesi denominata Tesi 3D, con una carenatura essenziale nei classici colori Bimota bianco-rosso. el 2007, al Salone di Milano, Bimota presenta la DB7, disegnata da Enrico Borghesan, moto che presenta diverse innovazioni tecniche come il sistema della sospensione posteriore infulcrato sul motore (soluzione impiegata in MotoGP)e il telaietto posteriore interamente in fibra di carbonio autoportante, come il telaietto anteriore. Il telaio è una struttura mista: traliccio in tubi a sezione ovale e piastre in alluminio ricavate dal pieno. La DB7 vanta una dotazione ciclistica di prim'ordine, mentre la motorizzazione è affidata all'unità Ducati da 1099 cc che equipaggia la 1098. Una DB7 in configurazione standard ha partecipato alla gara del mugello del Desmo Challenge 2008 con Danilo Marrancone, centrando un importante risultato: la vittoria all'esordio. Parecchie sono le Bimota impegnate in gara nei trofei Nazionali ed internazionali: Tesi 3D, DB5, DB6 ed ora anche DB7. Oggi Bimota è una realtà che produce circa 400 moto all’anno. Le Bimota oggi sono destinate non solo al mercato italiano, ma anche e soprattutto a quello estero. Un grande spinta alle vendite della casa riminese oggi arriva dai mercati storici come: Giappone, Stati Uniti e Germania. Entrando in azienda l’aria che si respira è quella delle piccole realtà composte da staff motivati. Ogni progetto viene seguito internamente dall’inizio alla fine: tutta la progettazione, la prototipazione, i test sui componenti, lo sviluppo dei prototipi, il controllo qualità, il montaggio, i collaudi e la distribuzione, hanno origine nella sede di via Giaccaglia a Rimini. Per la fornitura dei componenti ci si avvale di aziende esterne, quasi esclusivamente italiane (oltre al meglio sul mercato dei componenti, la Casa fa realizzare pezzi chiave secondo specifiche proprie). Chiari esempi sono le carene in carbonio marchiate Tock o Oria, così come i telai Benelli Tecnotelai. Bimota oggi sta ricostruendo una realtà di piccola industria all’altezza di un nome che ancora oggi gode di grande prestigio. I suoi acquirenti di oggi infatti non solo sono quelli storici, ma anche giovani che si sono avvicinati alle ultime e interessanti produzioni. Il prodotto attuale mantiene un forte filo conduttore con il passato. In Bimota si cerca di mantenere standard industriali di qualità all’insegna del made in Italy, senza rinunciare al valore aggiunto dell’artigianato. Bimota oggi inizia a pensare ad un ritorno alle corse in grande stile, e precisamente alla Superbike (con l’intento di finire il lavoro iniziato nel 2000). Le sue moto già prendono parte ai campionati Supertwins e Ducati Desmo Challenge. Senza dubbio si tratta di un bel salto in avanti per un marchio che a metà degli anni sessanta operava nel settore del riscaldamento..

3 commenti:

Superpantah ha detto...

Un'altro bel post. Ormai sono costretto a trovare il tempo di legervi tutti i giorni... :-))
Ciao

Enrico Zani ha detto...

Ciao.. Grazie per i complimenti mattutini!! Sei stato velocissimo, tanto da mettre un commento mentre ancora stavo "lavorando" al post..
Il fatto che tu sia "costretto" a leggermi ogni mattina, mi rende solo che felice, significa che il mio lavoro sta' venendo bene!
Scherzi a parte, grazie per seguirmi e complimenti anche al Vs bel blog!

Francè ha detto...

bellissime moto...la db7 e la sb8k sono da spavento!